l’ingegneria e medicina insieme

Biostampanti: l’ingegneria e la medicina insieme

Le primissime biostampanti non erano costose o patinate. Avevano l’aspetto di stampanti da tavolo da due soldi e, in effetti, lo erano. Nel 2000, il bioingegnere Thomas Boland, che ha de-scritto sé stesso come “il nonno del bioprinting” ha posato l’occhio su una vecchia Lexmark nel suo laboratorio alla Clemson University. Gli scienziati avevano già modificato le stampanti a getto d’inchiostro per stampare frammenti di DNA e studiarne la composizione genica.

Se un getto d’inchiostro poteva stampare geni, pensò Boland, forse lo stesso hardware avrebbe potuto stampare altri biomateriali. Dopotutto, le cellule umane più piccole misurano 10 micron, circa le dimensioni delle goccioline d’inchiostro standard. Così, Boland ha svuotato la cartuccia d’inchiostro della Lexmark e l’ha riempita di collagene. Ha poi incollato un sottile foglio di silicio nero a carta bianca e l’ha inserito nella stampante.

Ha aperto un documento Word sul suo pc, ha digitato le sue iniziali e ha cliccato “stampa”. La carta è uscita fuori con un “TB” di proteine color bianco chiaro. Entro il 2000, Boland e il suo team avevano riconfigurato una HP Deskjet 550C perché stampasse con batteri E. coli. Sono poi passati gradualmente a cellule di mammiferi più grandi, raccolte da criceti cinesi e cavie da laboratorio. Dopo la stampa, il 90% delle cellule rimaneva intatto, il che significava che l’operazione era utile e non soltanto artistica.

Dalle cellule alle ossa: la medicina digitale

Mentre il laboratorio di Boland si occupava di bioprinting, altri ingegneri applicavano la stampa 3D per scopi medici diversi. Hanno stampato tessuto osseo dalla ceramica, corone dentali dalla porcellana, protesi uditive dall’acrilico e protesi di arti da polimeri. Ma questi ingegneri avevano un vantaggio che Boland e i suoi non avevano: potevano stampare in 3D anziché in 2D. Disabilitando, nelle loro stampanti, il meccanismo di inserimento della carta, vi avevano aggiunto una piattaforma simile ad un ascensore controllata da un motore e in grado di muoversi su o giù lungo l’asse Z.

I tecnici potevano stampare uno strato di cellule, abbassare la piattaforma e stamparne un altro. All’improvviso, si è passati dal disegnare la vita su un foglio piatto, a costruire sculture viventi. “Era come magia”, ha affermato James Yoo, un ricercatore del Wake Forest Institute for Regenerative Medicine che sta sviluppando una stampante portatile per trapianti di pelle direttamente su vittime di ustioni. La possibilità di stampare cellule in 3D ha aperto nuove strade.

“Ogni ferita è diversa; la profondità è diversa, e sono molto irregolari”, ha detto Yoo. “Mappando la zona, è possibile determinare quanti strati di cellule sono necessari per il tessuto sottocutaneo, come anche per l’area epiteliale. Il vantaggio della stampante consiste nel fatto che consente di di-sporre le cellule in modo più accurato e preciso”. Gli scienziati potevano anche stampare con diversi tipi di “inchiostro”.