Scienza

Memoria USB cos’è

Cos’è di preciso una memoria USB? Forse sei abituato a sentire e ad usare più spesso il termine chiavetta USB o penna USB, ma la definizione non cambia. Si tratta di una memoria di massa portatile che si può collegare a un notebook o ad altri device tramite porta USB. Le prime memorie USB hanno iniziato a essere diffuse attorno al 2000.

Meno di dieci anni dopo è stato possibile decretare la loro supremazia su altri dispositivi di archiviazione dei dati, come per esempio il floppy disk, dichiarato fuori produzione nel 2007. Questi dispositivi, solitamente di piccole dimensioni (raramente superano i 10 cm di lunghezza), possono avere capacità diverse per quanto riguarda la mole di dati.

Scopriamo come funziona

La chiavetta USB contiene dati in memoria Flash. Il protocollo che viene utilizzato per leggerli è denominato USB Mass Storage Protocol. Questa caratteristica altro non è che una forma di standardizzazione del prodotto che però ne ha determinato il successo in pochissimo tempo, facendo sì che sparissero i floppy disk. Grazie a questo protocollo le memorie USB possono essere utilizzate su device di qualsiasi sistema operativo.

Performance di una chiavetta USB

Una chiavetta usb 64 gb può caratterizzarsi per un particolare livello di performance, focalizzate soprattutto nella velocità di scaricamento dei dati presenti. Da cosa può dipendere tutto questo? Dai seguenti fattori:

  • Il livello generale della rete a cui è connesso il device su cui vengono trasfeiriti i dati.
  • La presenza o meno all’interno della chiavetta USB di microprocessori aventi l’obiettivo preciso di velocizzare le tempistiche di lettura e scrittura dei dati (si tratta del processo d’inserimento delle informazioni sulla memoria chiavetta usb con successivo scaricamento su un device).
  • Possibilità di rimuovere l’hardware senza spegnere il device e senza aprire alcun tipo di vano.

Come abbiamo già avuto modo di ricordare, la memoria USB ha in poco tempo soppiantato l’utilizzo di floppy disk e CD come supporto di memoria di massa. Le dimensioni ridotte rappresentano senza dubbio una caratteristica molto utile a questo proposito, assieme alla customizzazione dell’aspetto esteriore della pennetta.

Esistono anche memorie USB che possono essere utilizzate con device sprovvisti di porte USB (per esempio alcuni modelli di tablet). Si tratta di prodotti che funzionano con la tecnologia bluethoot, e che permettono un processo di lettura e scrittura dei dati molto più immediato. Una memoria USB, quindi è utile proprio a tutti.

l’ingegneria e medicina insieme

Le primissime biostampanti non erano costose o patinate. Avevano l’aspetto di stampanti da tavolo da due soldi e, in effetti, lo erano. Nel 2000, il bioingegnere Thomas Boland, che ha de-scritto sé stesso come “il nonno del bioprinting” ha posato l’occhio su una vecchia Lexmark nel suo laboratorio alla Clemson University. Gli scienziati avevano già modificato le stampanti a getto d’inchiostro per stampare frammenti di DNA e studiarne la composizione genica.

Se un getto d’inchiostro poteva stampare geni, pensò Boland, forse lo stesso hardware avrebbe potuto stampare altri biomateriali. Dopotutto, le cellule umane più piccole misurano 10 micron, circa le dimensioni delle goccioline d’inchiostro standard. Così, Boland ha svuotato la cartuccia d’inchiostro della Lexmark e l’ha riempita di collagene. Ha poi incollato un sottile foglio di silicio nero a carta bianca e l’ha inserito nella stampante.

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Accoppiamento tra mosche

Quando si parla di accoppiamento, le antenne si drizzano non solo per gli esseri umani ma anche e soprattutto per la scienza. Da sempre, in effetti, lo studio dell’accoppiamento tra insetti e animali ha permesso alla biologia di fare grandi passi in avanti nella conoscenza del regno animale, e non solo. Vediamo per esempio cosa è stato dedotto da uno studio condotto sulle mosche.

Così fan tutte

L’accoppiamento è un rituale complicato non solo per gli esseri umani, ma anche per le mosche. Pare sia tutta colpa di un gene, lAbd-B, collegato allo sviluppo dei neuroni responsabili della ricettività sessuale nelle femmine della Drosophila melanogaster. Tale gene, infatti, sarebbe responsabile della risposta femminile nei confronti delle avances del maschio. Lo studio, condotto da un team di ricerca della Rockefeller University, è il primo a mostrare un collegamento genetico alla ricettività sessuale. Fino a poco tempo fa, la ricerca era concentrata principalmente sul comportamento appariscente dei maschi.

“Poichè la routine di corteggiamento dei maschi è complessa, precedente-mente si pensava che il ruolo femminile fosse relegato ad una semplice questione di accettazione passiva”, ha dichiarato Jennifer J. Bussell, autrice principale dello studio. Invece, secondo i nostri studi, si è visto che c’è molto di più di un semplice sì o no da parte delle femmine. Le donne, quindi, in un certo senso hanno un ruolo dominante anche quando si tratta di femmine formato mosche. E questo la dice lunga sulle somiglianze, ormai da tempo accertate scientificamente, tra il patrimonio biologico dell’uomo e quello degli animali, insetti compresi. In fin dei conti, lo studio delle mosche potrebbe rivelare qualche dettaglio in più anche su noi stessi.

Studiare le mosche per capire la genetica

Le mosche sono uno strumento scientifico utile per lo studio della genetica e in particolare del comportamento. In questa ricerca, il team ha collegato lAbd-B ad un insieme di neuroni che controllano, nello specifico, la ricettività sessuale. Secondo i ricercatori, questo è un esempio di come, comportamenti innati, vengano spesso controllati da neuroni organizzati in unità modulari.

Per determinare quale gene o gruppo di geni controllano la ricettività sessuale, gli studiosi hanno impiegato una tecnica chiamata RNA interference, un meccanismo epigenetico mediante il quale alcuni frammenti di RNA sono in grado di interferire e spegnere l’espressione genica. Con questa sorta di “silenziamento genetico”, il team ha potuto osservare l’effetto di quel determinato gene sull’organismo, proprio come quando all’interno di un quadro elettrico si prova a spegnere o accendere un interruttore per vedere a quale comando corrisponde.